Mi trovavo nella metro di Madrid, stavo andando al Museo Reina Sofia (che però la Domenica è aperto solo fino alle 14, come ho scoperto vedendo i cancelli chiusi una volta arrivato): linea uno, la azzurra, direzione Valdecarros, fermata Atocha.
Durante il tragitto il treno passa per una stazione abbandonata, una stazione fantasma: solo le luci al neon illuminano fiocamente i marciapiedi non più usati, impolverati, le insegne spente ed i cartelloni datati.
La gente non ci fa caso, io me ne accorgo solo all’ultimo, giusto per pochi secondi utili ad immaginare passi di anni addietro, suoni ed odori stantii, voci confuse di tutto il mondo, sguardi interessati ed interessanti, cappelli fuori moda, capelli sporchi, profumi da vecchie signore, pellicce e maniche corte, stivali e lamette, sacchetti di plastica con dentro la spesa.
Subito dopo entra un signore, un chaval che suona i flauti di pan e tenta la fortuna sperando nel sorriso della gente al sapore di moneta; c’è una grassona, seduta, con un sacchetto di carta poggiato sulle grosse gambe che sempre le cade; c’è un tizio pelato con le stelline tatuate in testa. C’è tanta gente, il chaval a volte interrompe il soffio nei flauti per spostarsi e lasciare passare la gente; poi riprende, sempre la solita musica, sempre la solita indifferenza.
Alla fine della commedia intenta un muchas gracias para vuestra atenciòn: un tentativo dal cappello vuoto.
Era il vagone sbagliato.